Onorevoli Colleghi! - Il testo che si presenta è radicalmente innovativo, per due ordini di ragioni: per la modalità con cui è stato redatto e per le soluzioni che prospetta ai molti problemi della cinematografia italiana.
      È una legge «per» il cinema italiano, che, con orgoglio, si ritiene possa essere considerata una legge «del» cinema italiano, da esso espressa, da esso voluta, da esso sostenuta.
      La disciplina della cinematografia è stata per la prima volta codificata nel 1965, con la legge n. 1213, rimasta per molti anni la «legge-quadro» del settore. Solo nel 2002, con l'articolo 10 della legge n. 137, si è prevista la delega al Governo per l'adozione di un decreto legislativo di riordino e aggiornamento della legislazione in materia di cinematografia. La delega è stata attuata con il decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 28, che però non ha del tutto corrisposto a molte delle aspettative e delle richieste che nel corso degli anni sono state avanzate dal mondo del cinema.
      La presente proposta di legge vuole finalmente dare una risposta a tali aspettative e richieste, procedendo a riordinare, sebbene per princìpi generali, l'intervento della Repubblica nella cinematografia, anche alla luce dell'assetto federalista del Paese disposto dalla riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione (in effetti, regioni, province e comuni sono attivamente coinvolti nei meccanismi decisionali previsti nella presente proposta di legge).
      Questo testo non è un testo di Alleanza Nazionale o di Forza Italia o della Casa delle Libertà, o di una o più parti politiche (sintonie e unioni di intenti che, già in sé, sono apprezzabili, dato il policentrismo di posizioni che sempre emergono in materia di politiche culturali, anche all'interno di maggioranze e di opposizioni, data la delicatezza della materia) ma, semplicemente,

 

Pag. 2

un testo «per» e «del» cinema italiano.
      Un testo che ha l'ambizione di aver interpretato le aspettative di tutto il cinema italiano, dei suoi cervelli e delle sue manovalanze, dei suoi creativi e dei suoi tecnici e, anche, le aspettative dei suoi spettatori.
      È una legge di tutto il cinema italiano, senza distinzioni estetiche o ideologiche, professionali o politiche.
      Se mi si consente l'aggettivo, si pone quasi come legge «ecumenica».
      La proposta di legge è basata su alcuni criteri-cardine: modernizzare, liberalizzare, deburocratizzare. È una legge di impianto federalista e anti-assistenziale. È una legge ispirata ad efficienza, efficacia, flessibilità, trasparenza.
      È una legge che innova, ma senza distruggere completamente l'architettura pre-esistente, per evitare - come suol dirsi con efficace metafora - che, per gettare l'acqua sporca, si getti anche il bambino.
      Si tratta di una proposta di legge ispirata a princìpi di libertà di espressione e di libertà di impresa, sulla quale mi auguro non potrà non registrarsi un'ampia convergenza, da parte di tutte le forze politiche che credo vorranno rinunciare - almeno in questo caso - a pregiudizi aprioristici e sapranno accogliere la bontà degli intenti e l'efficacia dei risultati. In questo campo alcune convergenze sono oggettive, nell'interesse della collettività e della comunità degli operatori: per esempio, sulla necessità di deburocratizzare, di effettuare verifiche di efficacia, di ridurre la discrezionalità dei processi selettivi, di rendere trasparenti le procedure, eccetera. È una proposta di legge frutto di un lungo lavoro di studio (anche dei migliori modelli stranieri), di preparazione e di scrittura, caratterizzato da una continua analisi critica (e autocritica), e di correzione del testo che si andava via via delineando: una gestazione durata molti mesi, rivista e corretta a seguito di decine di incontri di lavoro con le molte anime della cinematografia (autori, produttori, tecnici, eccetera).
      Ragione principale di questo lungo impegno è stata la volontà, sempre presente fin dal primo momento, di cercare di capire a fondo i problemi, le necessità e le istanze di tutte le categorie operanti nel settore cinematografico, senza preconcetti e senza pregiudizi, allo scopo di dare loro una risposta chiara e soddisfacente, attraverso la creazione di un contesto normativo, libero e forte, favorevole a un'attività di impresa che unisca alle competenze artistico-creative quelle organizzativo-manageriali.
      Durante le fasi di predisposizione del testo ho ascoltato e mi sono continuamente confrontato con rappresentanti degli imprenditori, degli autori, dei tecnici e di tutti gli altri operatori, cercando di mettere a punto, insieme a loro e per loro, una sintesi tecnica e politica, che tenesse conto di tutte le esigenze, e le armonizzasse, stimolando sinergie e liberando nuove risorse a favore del settore.
      La caratteristica principale, e, vorrei sostenere, quasi il «vanto» della proposta di legge è, infatti, proprio la «collegialità».
      È un lavoro di «tanti» che hanno dato tutti un contributo tale da fornire sostanza e consistenza alle idee portanti e qualificanti di questo lavoro: un lavoro a tavolino, ma avendo tra le carte gli appunti di molte, spesso faticose, riunioni di lavoro sul campo.
      Desidero ringraziare tutti coloro che hanno fornito preziosi contributi, tecnici e di esperienza, a questo testo: non pochi di essi non si riconoscono necessariamente nelle parti politiche che hanno promosso l'iniziativa, ma so che si riconoscono in questa legge. È anche questa, credo, la funzione più nobile della politica, ancora più nobile nella delicata materia delle politiche culturali: superare le visioni di partenza, e di parte, nell'interesse della comunità degli operatori e, ancora oltre, della collettività.
      Questa è la proposta di legge di tutto il cinema italiano, che nasce dal suo «cuore» e dalle sue esigenze, e che vuole contribuire a farlo tornare grande come merita, ricompensando, finalmente, la passione,
 

Pag. 3

il lavoro e la perseveranza di ogni soggetto che ne fa parte.
      L'impegno è stato grande, intenso, appassionato, così come è stata grande la voglia di fare bene: spero di esserci riuscito.
      Desidero che quanto si propone rafforzi il nostro cinema come industria creativa, ma un'industria che continui a produrre i grandi film che l'hanno resa famosa nel mondo nel corso del tempo, dando cultura e commozione, coscienza civile e visione critica della realtà, ma anche intrattenimento e gioia a centinaia di milioni di persone.
      Questo testo supera la contrapposizione tra cinema «d'arte» e cinema «commerciale», tra cinema «d'autore» e cinema «di cassetta», con l'intento di abbattere gli steccati ideologici ed estetici, di stimolare la contaminazione di linguaggi, senza «lande protette» che corrono il rischio di essere frequentate solo da un manipolo di autori, chiusi nelle loro eburnee torri intellettualistiche ed elitarie. Credo nel cinema come rapporto (buono o cattivo, che sia) con il pubblico, non come operazione solipstistica autorefenziale.
      Credo nel cinema per il pubblico, non nel cinema contro il pubblico.
      Le caratteristiche principali e qualificanti della presente proposta di legge, che hanno come scopo quello di migliorare ciò che c'era di buono nelle norme precedenti (non tutto è infatti da cestinare, e certamente va mantenuto un ruolo propulsivo della mano pubblica) e modificare ciò che era sbagliato o superato (dall'incalzare dei tempi, dai fallimenti del passato, dalla convergenza multimediale, dalla globalizzazione dei mercati e delle culture) sono esposte di seguito.
      L'articolato appare lungo, ma la quantità di materie nelle quali si interviene, pur con princìpi generali, è notevole.
      In estrema sintesi:

          il capo I (articolo 1) pone una serie di princìpi generali;

          il capo II (articoli da 2 a 6) descrive funzioni, struttura e funzionamento dell'Istituto per lo sviluppo del cinema Spa;

          il capo III (articoli da 7 a 12) è dedicato alle agevolazioni fiscali;

          il capo IV (articoli da 13 a 18) descrive le modalità del sostegno economico pubblico;

          i capi V (articolo 19), VI (articolo 20), VII (articoli da 21 a 24), VIII (articolo 25) sono dedicati, rispettivamente, ai film per ragazzi, ai cortometraggi, alla distribuzione ed all'esercizio, alle tecnologie innovative;

          il capo IX (articoli da 26 a 28) è dedicato ai rapporti tra cinema e televisione;

          il capo X (articolo 29) è dedicato alla revisione dei film cinematografici (la cosiddetta «censura»);

          il capo XI (articolo 30) detta norme per rafforzare la lotta alla pirateria;

          il capo XII (articoli 31, 32 e 33) riguarda norme essenzialmente applicative (regolamento di attuazione, norma transitoria, entrata in vigore, delega al Governo).
      Il testo si pone come legge moderna e aperta, nel rispetto delle nuove norme del titolo V della parte seconda della Costituzione, e rappresenta un tassello di un'auspicabile riforma complessiva del settore dello spettacolo. Alla luce anche di quanto sopra esposto si sono dovute affrontare due questioni nodali:

          il nuovo rapporto tra Stato, regioni, province e comuni, dato che appare legittimo, alla luce del nuovo titolo V della parte seconda della Costituzione, un loro ruolo attivo e compartecipe, con assoluta parità di diritti (e di doveri) rispetto alle tradizioni Stato-centriche, nella «regia» del sistema dello spettacolo e finanche nella cinematografia: sono il primo a credere che la visione «romanocentrica» del cinema debba essere superata (senza ovviamente depotenziare l'industria del cinema romano, che resta una delle più importanti della Capitale e del Paese), e credo che il seme lanciato dalle Film Commission possa dare ormai buoni frutti, in una prospettiva federalistica della cultura della Repubblica;

 

Pag. 4

          la pluridecennale polemica tra «assistenzialismo» e «liberismo», che non è solo italiana, ma attraversa tutti gli Stati membri dell'Unione europea, che tutti, sebbene con modalità diverse, intervengono a sostegno della cinematografia: si è identificato uno strumento innovativo, qual è l'associazione in partecipazione della Repubblica nelle iniziative (soprattutto produttive) cinematografiche, sulla base del principio che la mano pubblica interviene con un euro laddove la mano privata rischia un euro. Questo principio non appare in contrasto con le direttive europee in materia di aiuti di Stato, perché si tratta di un meccanismo promozionale e di stimolo, non assistenziale. La partecipazione della Repubblica avviene con dinamiche differenziate, standardizzate e selettive, in funzione della diversa opzione adottata dai proponenti.
      Premessa l'esigenza di garantire risorse certe al cinema, viene previsto che la quota del Fondo unico per lo spettacolo destinata al cinema non possa essere inferiore al 25 per cento del totale del medesimo Fondo, cioè alla quota che originariamente era stata prevista dalla legge n. 163 del 1985, via via ridotta, nel corso del tempo, per privilegiare - ingiustamente - altri settori dello spettacolo.
      Innanzitutto, si è deciso di introdurre, alla luce anche di esperienze di altri Paesi europei, un sano principio di separazione della gestione e del controllo: il controllo resta nelle competenze dirette della Repubblica, ma la gestione viene affidata a un organismo nuovo, l'Istituto per lo sviluppo del cinema Spa, una società per azioni (nel cui capitale entra dapprima lo Stato, ma poi le regioni, le province, i comuni, una sorta di «tavolo interistituzionale», centrale - perché non può essere altrimenti, date le caratteristiche strutturalmente non locali della cinematografia - ma non statale), che gestisca, in modo coerente e organico, con le adeguate tecnicità, la parte più «industriale» dell'intervento di sostegno pubblico.
      L'obiettivo è anche quello di una complessiva deburocratizzazione della macchina dell'intervento pubblico nel settore cinematografico: per usare una efficace espressione del compianto professor Biagi, «occorre rompere con la tradizione e la cultura dei timbri e delle pratiche burocratiche». Non solo nel mercato del lavoro, ma anche nella cinematografia.
      Alla Direzione generale per il cinema del Ministero dei beni e delle attività culturali resta una funzione di supervisione complessiva del sistema, di elaborazione strategica dell'intervento del Ministro, la gestione dei fondi dedicati alle attività di promozione culturale (i festival, in primis), e ovviamente la vigilanza sull'Istituto per lo sviluppo del cinema spa, nuovo «cuore» e «polmone» del sistema, volàno di nuove risorse economiche e finanziarie extra Fondo unico per lo spettacolo.
      La parte destinata al cinema del Fondo unico per lo spettacolo verrà divisa in due parti:

          il 90 per cento viene destinato all'Istituto per lo sviluppo del cinema Spa, iniziative di progettazione, produzione, distribuzione, industrie tecniche, promozione, esportazione;

          il 10 per cento viene gestito direttamente dalla Direzione generale per il cinema del Ministero: attività promozionale culturale (a partire dai festival).

      L'Istituto per lo sviluppo del cinema Spa, tra l'altro, dovrà svolgere le funzioni attualmente attribuite alla Commissione per la cinematografia, di cui all'articolo 8 del decreto legislativo n. 28 del 2004, ed elemento rilevante di novità, accrediterà, direttamente presso la banca scelta dal produttore, la partecipazione ai costi di produzione dei film prevista dalla presente proposta di legge, nonché incaricherà le società di revisione che controlleranno i preventivi, la contabilità e i consuntivi relativi ai film ammessi a partecipazione, svolgendo, nell'uno e nell'altro caso, i compiti e le funzioni attualmente ancora svolti dalla Banca nazionale del lavoro.
      Per quanto riguarda il «fondo per la produzione, la distribuzione, l'esercizio e le industrie tecniche, previsto dall'articolo

 

Pag. 5

12 del citato decreto legislativo n. 28 del 2004, esso continua, nella sostanza, ad esistere, ma quello della Repubblica cessa di essere un'intervento di tipo assistenziale, per diventare effettiva «partecipazione», al fine di stimolare e di valorizzare le capacità gestionali e imprenditoriali del produttore, oltre che a metterlo di fronte alle proprie responsabilità rispetto agli impegni sottoscritti. L'Istituto parteciperà ai costi di produzione tenendo conto, nel vaglio dei progetti, non solo del valore artistico e culturale ma anche dell'aspetto spettacolare e commerciale, della diversificazione dei generi, e riservando una quota di almeno il 10 per cento alle opere prime.
      Il produttore, inoltre, non potrà più avere contributi tali da coprire, nei fatti, il costo totale del film ma solo una percentuale del 45 per cento (con un importo massimo di 5 milioni di euro), e avrà l'onere di reperire sul mercato la restante quota del 55 per cento. Nel caso di opere coprodotte, o di opere destinate all'infanzia, la quota della Repubblica potrà arrivare fino al 50 per cento, tetto massimo insuperabile.
      Il principio è quello già esposto: un euro di mano pubblica, laddove il privato rischia un euro. Questo semplice meccanismo, inderogabile, impedirà la realizzazione di opere «clientelari» da parte di produttori e di autori «amici degli amici», di «bande» di qualsivoglia colore, in quanto solo i progetti validi in termini culturali ma anche commerciali potranno trovare dei finanziatori privati, sui mercati nazionali e internazionali.
      Il produttore dovrà, entro un anno dall'ottenimento della partecipazione al suo progetto, reperire i capitali necessari per coprire la sua quota.
      Tali capitali sono naturalmente rappresentati dalle coproduzioni, dalla prevendita dei diritti di antenna-tv, dalla defiscalizzazione, dall'apporto di capitale proprio, eccetera, e possono essere trovati solo se si ha in mano un progetto convincente, con prospettive di remunerazione dell'investimento effettuato.
      Quei produttori avventurieri, dotati solo delle amicizie «giuste» che creavano società ad hoc (presto messe in liquidazione, spesso con fallimenti pilotati) per realizzare un solo film (spesso invisibile, se non addirittura invedibile), sono destinati a scomparire: rimarranno sul mercato solo i veri produttori, la parte sana del sistema, non quella parassitaria.
      Saranno privilegiate e ulteriormente favorite le coproduzioni con altri Paesi membri dell'Unione europea, le quali rappresentano il futuro della produzione cinematografica, elevando la quota di partecipazione dell'Istituto per lo sviluppo del cinema Spa fino al tetto massimo del 50 per cento dei costi di produzione (con un importo massimo di 6,5 milioni di euro). Stesso tetto del 50 per cento potrà essere raggiunto nel caso dei film per ragazzi, considerati un utile strumento culturale e sociale di formazione e di crescita dei giovani.
      I cortometraggi, considerati un importante strumento per la crescita di nuove professionalità nel settore cinematografico, verranno invece «finanziati» con un importo che non potrà in nessun caso superare i 100 mila euro.
      Altri elementi qualificanti sono l'introduzione della «producer fee», nella misura dei 10 per cento, che viene interpretato come giusto guadagno del produttore, e diviene parte integrante dei costi di produzione, e l'anticipo da parte dell'Istituto per lo sviluppo del cinema Spa per le spese di preparazione del film, del 10 per cento della sua quota di partecipazione, come pure l'erogazione da parte dell'Istituto del 20 per cento della sua quota di partecipazione all'inizio delle riprese del film. L'Istituto parteciperà inoltre, sempre nella misura del 45 per cento, ai costi di edizione, distribuzione e promozione, sia in Italia che all'estero, dei film dei quali avrà partecipato ai costi di produzione. La Repubblica potrà intervenire attraverso due sistemi in qualche modo alternativi tra loro e i produttori dovranno scegliere tra le due opzioni: attraverso criteri standardizzati (basati soprattutto sulla solidità economica del progetto e del proponente)
 

Pag. 6

e attraverso criteri selettivi (basati su pareri sulle potenzialità espressive del progetto). In entrambi i casi, verranno introdotti una serie di «paletti», che stimolino, al tempo stesso, la serietà delle iniziative imprenditoriali e la qualità dei progetti, e ostacolino iniziative sganciate da un sano rapporto con il mercato. Per esempio: andrà preso in considerazione l'esito, sia commerciale (incassi) sia culturale (premi ai festival) dei film prodotti in passato; per gli autori alla prima opera di lungometraggio, sarà opportuno visionare i cortometraggi di esordio. Meccanismi semplici - come si osserva - ma che consentiranno una radicale modificazione di prospettiva.
      Le opere prime potranno essere prodotte sia utilizzando il primo criterio (standard) sia il secondo (selettivo), ma è comunque previsto che vengano realizzati - attraverso i criteri selettivi - almeno dieci lungometraggi opere prime l'anno.
      L'introduzione di consistenti agevolazioni fiscali fornirà un ulteriore sostegno al settore cinematografico, in quanto riguarderà sia i produttori e i distributori indipendenti (detassazione degli utili reinvestiti) sia le persone giuridiche operanti in settori diversi da quello cinematografico (una concreta applicazione di quel «tax shelter» che viene invocato dal settore ormai da almeno un paio di decenni). Viene previsto che non costituiscono reddito imponibile, ai fini delle imposte dirette, nel limite dell'80 per cento per le imprese del settore e del 30 per cento per le imprese extrasettoriali, gli utili dichiarati che vengano impiegati nella produzione o nella distribuzione di film prodotti o distribuiti da produttori e da distributori indipendenti.
      Le agevolazioni previste per i produttori e distributori indipendenti sono estese anche agli esercenti che hanno programmato nell'esercizio fiscale di riferimento almeno il 40 per cento di film nazionali ed europei.
      Particolarmente importante e certamente innovativo è anche il criterio di ripartizione dei proventi fra l'Istituto e il produttore o il distributore. Infatti, è previsto che tutti i proventi derivanti dallo sfruttamento commerciale del film vadano anzitutto a coprire il 51 per cento dei costi a carico del produttore o del distributore, mentre i successivi proventi vengono così ripartiti: 70 per cento all'Istituto e 30 per cento al produttore o al distributore sino al recupero totale da parte dell'Istituto, 30 per cento all'Istituto e 70 per cento al produttore o al distributore da quel momento in poi.
      Sia nel caso della produzione sia in quello della distribuzione ci si trova di fronte, nei fatti, ad una innovativa figura giuridica che richiama «l'associazione in partecipazione», dove il produttore o il distributore assume la figura dell'associante, e l'Istituto quella dell'associato, per la realizzazione di un prodotto cinematografico.
      La proposta di legge affronta anche lo spinoso problema dei rapporti tra cinema e televisione, in particolare per quanto concerne la definizione e la regolamentazione delle quote di investimento delle emittenti televisive soggette alla giurisdizione italiana, stabilendo, tra l'altro, che la quota di investimento fissata dal comma 5 dell'articolo 44 del testo unico della radiotelevisione, di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, per la concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo deve ricomprendere i film - italiani ed europei - in misura non inferiore al 40 per cento della quota medesima. È importante sottolineare che sono computabili ai fini delle quote solo gli investimenti effettuati attraverso produttori indipendenti, che non siano, cioè, soggetti controllati dalle emittenti televisive stesse.
      È al riguardo definito un meccanismo di verifica più efficace rispetto a quello attuale e sono soprattutto definite le sanzioni da comminare in caso di mancato rispetto delle quote citate, suddivise in una quota fissa e in una variabile, e determinate in percentuale degli introiti netti annui delle emittenti televisive derivanti da pubblicità o da canone.
      Inoltre, e anche questa norma ha carattere innovativo, viene stabilito che la pubblicità dei film (articoli 13 e seguenti
 

Pag. 7

della presente proposta di legge) non concorra alle percentuali di affollamento pubblicitario in materia di diffusione radiotelevisiva previste dalla legislazione vigente.
      A difesa del diritto morale di coloro che hanno partecipato alla realizzazione di un'opera cinematografica di vedere i loro nomi sui titoli di testa e di coda, viene fatto obbligo alle emittenti televisive di mandarli in onda per tutta la loro durata prevedendo delle sanzioni in caso di inosservanza. Anche questa è una norma piccola e semplice, ma simbolica e comunque importante. Particolare attenzione è stata, inoltre, dedicata a tutti gli aspetti relativi alla scuola e alla formazione, decidendo, tra l'altro, di favorire l'introduzione dello studio dell'arte cinematografica nei piani dell'offerta didattica e creando un network di scuole europee di cinematografia, che raccolga studenti e insegnanti provenienti da tutti gli Stati membri dell'Unione europea e favorisca la nascita di un nuovo linguaggio cinematografico che possa dirsi autenticamente «europeo».
      In tale ambito, è previsto lo sviluppo, anche mediante l'eventuale costituzione di un Centro europeo, delle più evolute tecniche di doppiaggio; l'istituzione di una Agenzia per la promozione del cinema europeo; la costituzione di una Cineteca europea.
      È poi doveroso sottolineare un altro punto importante della proposta di legge: quello relativo all'utilizzo delle tecnologie innovative (come il cinema digitale, distribuzione via satellite, via cavo, via INTERNET, post-produzione ed effetti speciali, montaggio e doppiaggio elettronici, eccetera), che vengono considerate strategiche per lo sviluppo del settore cinematografico italiano e per la sua competitività a livello internazionale. Per i cortometraggi, palestra di creatività per troppo tempo trascurata, il «finanziamento» massimo potrà essere di 300.000 euro.
      Particolarmente importanti sono anche gli interventi per rendere la censura amministrativa un sistema meno complesso e burocratico rispetto a quello attuale, adottando meccanismi di autoregolamentazione bilanciata, sul modello statunitense corretto alla luce della cultura del nostro Paese. È da segnalare che vengono imposti anche precisi obblighi rispetto alla teletrasmissione dei film, a tutela dell'infanzia, della gioventù e della famiglia. I film vietati ai minori di 13 anni, per esempio, non potranno essere trasmessi prima delle ore 22:30; quelli per «minori accompagnati», non prima delle ore 23:30; quelli vietati ai minori di 17 anni potranno essere trasmessi solo dalle pay-tv.
      Infine, è prevista una delega al Governo per rafforzare la lotta alla pirateria, anche attraverso un inasprimento delle norme penali, e anche una campagna informativa anti-pirateria, alimentata con una quota dell'1 per cento dei proventi del Fondo unico per lo spettacolo.
      Dal punto di vista della copertura finanziaria, la presente proposta di legge non richiede fondi aggiuntivi rispetto a quelli esistenti.
      Se questa proposta diverrà legge - come si auspica - consentirà una vera rinascita del cinema italiano, un rinascimento culturale e industriale, rafforzandone il tessuto produttivo e il tessuto espressivo, contribuendo al pluralismo culturale e alla pluralità di impresa, alla libertà artistica e alla libertà economica, stimolando finalmente autentiche sinergie tra l'intervento pubblico e le dinamiche di mercato. Per un cinema italiano libero e forte. Libero, in quanto forte. Forte, in quanto libero.
 

Pag. 8